sabato 30 agosto 2008

E meno male che il bongo l'ho lasciato là

Questa ve la spiego un'altra volta, ma confermandovi che i treni italiani paiono davvero Calcutta, vi informo anche che esiste questo.



E questo.




E che, al tramonto, se siete ragazzi fortunati, potreste avere questo.

Piccoli favori, capra con bongo of course.

mercoledì 27 agosto 2008

Con la C

Conferma, consolazione, gioia.

(Ci sono più cose in cielo e in terra, miei piccoli lettori, di quante se ne sognino nelle vostre inutili osservazioni grammaticali.)

E poi: capra.

venerdì 22 agosto 2008

Mai più senza

Io in questi giorni ho in mente solo due cose: la lilybag di D&G, una cosetta (ma deliziosa, deliziosa!) per tutti i giorni che se ne va intorno ai 1200 euros ma che TUTTAVIA secondo me in nero è intramontabile, e che potrebbe soppiantare l'agognata (sto duramente venendo a patti tra l'imborghesimento e lo schiaffo alla povertà, per ora - sospiro - ha vinto il secondo) Vuitton, e la roncola.




La roncola si compra in edicola, è una di quelle collezioni che io adoro tipo "tutti i taxi del mondo", "il presepe completo", "tutte le tazzine di Meissen", che ogni settimana o mese ne esce un modellino. Questa qui non so, sarà "tutti gli attrezzi di campagna" o qualcosa del genere, ed è anche un po' malsana, vista la quantità di Garlaschi e Cognes che circolano. Però non so che farci, mi fa lo stesso effetto delle "offerte della settimana" del Lidl. Sono giusto ancora in tempo per la pistola sparapunti elettrica, il trapano a percussione, le fascette in plastica fermacavi a soli 2,99 euros.

venerdì 15 agosto 2008

Georgia on my mind

Ora dovremmo aver capito tutti quanti almeno due cose:
  1. cosa intendono davvero quelli che vorrebbero che la Turchia entrasse nell'Unione Europea

  2. perchè la Russia non ci pensa tre secondi a scatenare una guerra per l'Ossezia del Sud
Io almeno l'ho capita così, perchè è tutta l'estate che me la godo di brutto in letture di robe caucasiche, e quindi mi sono scaricata subito le mappe per capire dove accidenti sia l'Ossezia (del Sud, il che ci fa ben pensare che ci sia pure quella del Nord).




Capito cos'è il Caucaso? Una roba di montagne tra, udite udite, la Russia, la Turchia, la Siria, l'Iraq. I mari sono il Mar Nero (a sinistra) e il Mar Caspio.

Nella mappa qui sopra non si vede l'Ossezia, ma si vede benissimo che il Caucaso rappresenta (ancora!) il confine dell'impero. Quale impero, lo decidete voi, se volete avere una visione euro- o slavo-centrica. Quel che è certo, è che il corpaccione della Turchia sta per il 99% in Asia, rappresentando non a caso il restante 1% quel posto fantastico e benedetto da tutte le religioni che è Istambul. Istambul sarebbe Europa, senza dubbio, non fosse che in Turchia il governo Erdogan ha appena approvato una legge che liberalizza il velo islamico nelle Università (bocciata dalla Corte Costituzionale), il che fa pensare al tentativo strisciante di ripristinare la legge coranica. Cui, certamente, gli istambulesi sono contrari, ma che dire del resto del paese?

Basta che prendiate un traghettino al molo di Eminonu per quello di Uskudar (eggià, l'antica Scutari, testoni che non siete altro) proprio lì di fronte, e sarete irrimediabilmente in Asia. Trabzon, l'antica Trebisonda sul Mar Nero dove all'inizio di febbraio del 2006 è stato ucciso don Andrea Santoro da un ragazzino estremista islamico di 16 anni, non è lontana dal confine con la Georgia. Eccoci, eccolo il destino della Turchia, che ci fa dire o di qua o di là. L'ha capito prima e meglio di tutti Vladimir Putin.


Così, noi stiamo qui a dire che, ma certo, la Turchia è Europa. Sorvoliamo sul fatto che non si può parlare del genocidio degli Armeni che è una roba del 1917, sul giornalista Hrant Dink ucciso l'anno scorso da un altro estremista (di Trabzon, ma che hanno tutti lì?), sulle fanciulle vergini spinte al suicidio nell'Anatolia rurale (confine con la Georgia, of course) qualora mostrino blandi interessi o comportamenti di tipo occidentale. La Russia a sua volta è disposta (forse) a lasciar fare, ma certo non a lasciar perdere certe altre faccenduole caucasiche che appunto stanno sui suoi confini. Guardate qui, che coacervo di questioni, questi si fanno la guerra da sempre.


Prima, la Georgia: ha almeno 3 questioni indipendentiste aperte, l'Ossezia del Sud, come si è visto, ma anche l'Abkazia (che se ne vuole diventare indipendente, sotto il protettorato russo come le Ossezie), e l'Agiaria (che idem). Essendo dotate entrambe di porti sul Mar Nero, e di basi russe (più o meno) smantellate, Putin se ne occuperà come fossero pargoli suoi.

Appena a Nord c'è la Cecenia, della quale la Russia si è già, come è noto, occupata. Due guerre hanno soffocato nel sangue tutti i tentativi ceceni di rendersi indipendenti da Santa Madre Russia. Si è trattato di una specie di pantano afghano per la Russia, che ha compreso anche il radere al suolo la capitale Grozny, il massacro di Beslan (che è in Ossezia del Nord, ma sul confine), numerose altre azioni terroristiche, assassini politici compiuti dai servizi segreti, e 250mila morti e 100mila sfollati. Per dire.

L'Inguscezia invece la Russia l'ha usata per stivarci le truppe per combattere i ceceni, e i ceceni sfollati indovinate dove sono andati a rifugiarsi? A loro volta, gli ingusci erano stati in precedenza oggetto di una delle solite pulizie etniche.

Poi c'è la Circassia, da cui nell'impero ottomano si esportavano le schiave più belle, e la Cabardino-Balcaria che è definita da Peace Reporter "un'altra polveriera balcanica".

Tutti parlano lingue diverse (e il russo, per capirsi immagino). In una lettera, inviata a Caterina di Russia nell'agosto del 1785, scrive il suo ambasciatore a Istambul: "Ai Romani occorsero 134 interpreti per tenere commerci con i popoli caucasici. (...) Intorno al 1720 soltanto nel Daghestan venivano parlati 300 idiomi, vicendevolmente incomprensibili..."

Tutti, infine, sono sostanzialmente montanari, cioè da millenni fanno la guerrilla, mica la guerra.

In questi giorni al Consiglio di Sicurezza dell'ONU l'emissario russo ha usato tutto il sarcasmo possibile per far notare a Bush che la Russia sta soltanto sostenendo il diritto dell'Ossezia all'autodeterminazione e all'indipendenza, esattamente come gli USA hanno sostenuto quelle del Kosovo filooccidentale nei confronti della Serbia filorussa.

Lo sapete come si chiamava anticamente il Caucaso? Era la Colchide, quella dove Giasone andò a recuperare il vello d'oro, insieme a Medea, che anche quella è una storia piena di sangue.

Come lettura estiva istruttiva, leggetevi "L'imbroglio del turbante" di Serena Vitale, giusto edito in economica Oscar Mondadori, da cui è tratta la precendente citazione delle lettera a Caterina di Russia. Serena Vitale è una slavista, insegna letteratura russa credo alla Cattolica di Milano, ha scritto per Adelphi quel gioiellino che è "Il bottone di Puskin", e adesso - con il solito incantevole stile e con elegante precisione delle fonti - ci racconta tutto su quello che succedeva verso la fine del '700 da quelle parti, cioè un gran sferragliar di truppe che molto somiglia.

Infine: vi domandaste dov'è Rumiz - sta più a nord, sta per arrivare a San Pietroburgo dopo aver bevuto vodka in tutte le izbe ghiacciate dal confine con la Finlandia in giù. Se vi domandate se per caso abbia incontrato monaci-maghi nei loro monasteri abbandonati, o se abbia preso un freddo becco e dormito accanto a stufe e mangiato blinis, beh - ma che ve lo dico a fare.

domenica 3 agosto 2008

Grazie al cielo

Rumiz è partito anche quest'anno.
Adesso sì che è estate.

Già che vi cercavo il link dell'articolo di oggi su Repubblica (per capirci, quest'anno va coi mezzi pubblici da Capo Nord circa a Istambul, lungo il confine orientale dell' Unione Europea, slurp), che non ho trovato - ho trovato però questa roba qui, benedetto web:-)

Vedo volare sopra di me i violinisti di Chagall, il vecchio padre barbuto di Bruno Schulz, i sogni di Chaim Potok, i fantasmi di Isaac Singer.

Evvai.
La citazione viene dal libro di Rumiz "E' Oriente", Feltrinelli.
Io, che ovviamente l'ho già letto, sono già piombata mani e piedini ne "La famiglia Moskat" di Isaac Bashevis Singer, che lì capre e violini si sprecano proprio. Siccome è edito in italiano da TEA, che sta facendo una promozione, capace che se siete delle vecchie volpi ve lo pescate da qualche parte a 5,90 euri, che per quasi 600 pagine non è mica male.

Vi domandaste chi fosse, siete delle capre (appunto), ché Singer ha vinto il Nobel per la letteratura nel 1978, è nato a Radzymin (in Polonia) nel 1904 da un rabbino figlio di rabbino ecc per le solite settanta generazioni, quindi di fisso parlava solo yiddish e aramaico. Scriveva, e quindi vedi i casi della vita comincia a scrivere come corrispondente estero (da Varsavia) del Jewish Daily Forward, con sede a New York. Nel 1935, anche lui appena prima che accadesse la madre di tutti gli orrori del '900, trasloca in America e comincia a scrivere in inglese. Non riesco bene a dire se è cool (vabbè, io vedo CSI) o cheap, ma è morto a Miami nel 1991.

E se parliamo di polacchi che scrivono in una lingua non madre (cioè l'inglese), posso farvi mancare la citazione del mio amato Conrad? No, non posso.