sabato 5 luglio 2008

Mekong




Viaggio d'acqua, questo. Fiume, certo, e poi delta, mare, pioggia e sudore e acqua da bere e docce e lacrime.

Prima, molto prima di vedere il fiume, infatti, in Cambogia piove sempre. Tutto il tempo, giorno e notte, giorno e notte e mattine pallide. Dopo una settimana, vi domanderete se ce la potete fare, con la Cambogia, e la risposta è no, nessuno può farcela in un paese dove non vedrete un solo bambino con le scarpe. Vedrete cose, per dire, che voi umani.

Una città sacra in rovina sepolta nella giungla da centinaia di anni, dove arrivano turisti da tutto il mondo, e ci hanno fatto un aeroporto e i grand hotel apposta, infatti.

Una capitale fantasma, con palazzi fantasma e fogne a cielo aperto. L'attraverserete poi di notte a piedi, nel buio completo sotto la pioggia appiccicosa, in un caldo afoso che non vi abbandonerà mai in Indocina, scorgendo appena nel buio ombre di cambogiani silenziosi.

Dopo che l'occidente si accorse di quanto stava succedendo in Cambogia sotto il regime degli khmer rouge, missioni di pace vennero inviate a Phnom Pehn per assistere alla rinascita del paese: dopo qualche anno, se ne sono andati tutti, alla spicciolata. Hanno lasciato dietro di sè i palazzi simbolo delle loro fallimentari diplomazie e un popolo traumatizzato e depresso.

4 milioni di mine inesplose. A Battambang, non lontano da qui, Emergency ha un centro che si occupa esclusivamente di ricostruzione di arti, perchè qui, adulti e bambini, quelli senza scarpe, saltano sulle mine appena si esce dalle strade "ripulite".

La guida che vi porta in giro per i killing fields piange davanti a voi, perchè è nato lì e lì hanno trucidato la sua famiglia.

Attraversando di notte strade di terra che tagliano distese di baracche di lamiera, vedrete dai finestrini gocciolanti il pallido e mobile chiarore lunare di ciò che l'occidente è riuscito a fare per queste donne e uomini e bambini: televisori e antenne satellitari, uno per baracca, generatori di corrente e soapopera e MTV dalla Tailandia.

Ecco, è a questo punto che vi chiederete se ce la fate, se per caso non è troppo per voi.

E' il fiume, che vi salva, è andarsene via acqua, scivolare via voi e i vostri cattivi pensieri.

Perchè vi state imbarcando su un postale sul lago Tonle, dove il Mekong entra ed esce, e va verso il Vietnam e verso il suo delta. Diluvia di nuovo, avete il bagaglio sopra la testa e le vostre brave Birkenstock, affondate nel fango fino alle caviglie, e infatti capirete lì perchè, per tutto il resto del viaggio, andrete in giro in infradito di gomma.

Passerete un confine d'acqua su questa lancia stipata all'inverosimile, e spunterà un sole malato, scoppierà un caldo torrido che però vi lascerà salire sul ponte a respirare, a guardare questo incanto di fiume che vi trascina verso Saigon.

Saigon è terra di mare, è città di acque e di vita e case e mercati su barche, è sampan pieni di bambini e pesce e verdura. Vi mescolerete ai traffici e ai mercati di un posto d'Oriente dove quasi tutti sono giovanissimi, e dove tutto costa 1 dollaro, ma gli stilisti locali hanno boutiques di lusso parigino.

Poi ve ne andrete a guardare la città dalla terrazza dell'Hotel Continental, pensando alla guerra e a quando i vietnamiti vi guardano e ce l'hanno scritto in faccia che loro sì che li hanno buttati fuori, gli yankees, alla fine di quell'orrore di napalm e guerriglia che voi avete visto solo al cinema. Infatti voi leggete Oriana Fallaci, lì sulla terrazza, e vi sentite in un romanzo di Graham Greene, perchè Saigon è da sempre luogo da expatriates. La sera, ordinando una bistecca da Allez Bou, il posto dove "vanno tutti" quelli che sono a migliaia di chilometri da casa, vi sentirete nel cuore del mondo, e misurerete la distanza del vostro spazio da quello di un amore che vi scrive sms da un'isola greca da parei e feste in barca.

No, le stelle di sicuro non sono le stesse.

Avrete ponti girevoli attraversati a piedi, magliette Diesel e occhiali da sole venduti per niente in continui suk o nella polvere da donne che forse hanno 30 oppure 80 anni, zuppe dal sapore indecifrabile e abiti fatti su misura in un'ora, lenti percorsi fluviali su barche lunghe e basse ombreggiate da tendalini di stracci.

Giganteschi Buddha scavati nelle montagne, antiche capitali distrutte e templi sopravvissuti in un silenzio mistico che vi taglia fuori, e un ferragosto a Nha Trang, 15° parallelo, praticamente il fronte, durante la guerra. Ma voi, invece, siete sulla spiaggia di Casa Italia.

Perchè lì ci sono i lettini, e il caffè, e i giornali e la birra Peroni che qui vi commuove, e si ordina in italiano, ed è Italia, è Casa, vi salva per una notte da quest'Asia che smarrisce.

Molto più a nord, questa costa diventa quasi il mar della Cina, che solo a menzionarlo fa Salgari.

Lì, sul quasi, c'è la baia di Halong, dell'esistenza della quale sarete poi grati per molto, molto tempo.

Ad Hanoi andrete in risciò nella città vecchia a fare shopping di lini tessuti su vecchi telai di legno e di sete in centinaia di tinte diverse, di antiche bacchette da riso ribattute in argento che a casa userete come fermacapelli, di spezie ed erbe disseccate dalle proprietà miracolose.

La cucina vietnamita potete scordarla, perchè è quasi Parigi, e la sera le brasserie restano aperte fino a tardi.

Avrete ai vostri piedi il fantastico mondo dei falsi-ma-veri firmati, perchè è qui, nelle fabbriche del nord Vietnam dove la mano d'opera costa meno di zero, che le grandi firme della moda fanno produrre borse, maglie, camicie, e qui le troverete, identiche ma in un mercato parallelo dove tutto costa pochi dollari.

Forse non le saprete comprare, perchè avrete di nuovo cattivi pensieri sui bambini che lì dentro, nel vostro lusso occidentale, ci lavorano, per meno di zero.

Un altro volo, ed è Vientiane, Laos.

Del Laos vi diranno che non ha accesso al mare, che è tutto montuoso e sulle montagne però c'è la jungla, e che producono due cose: caffè e coca. E riso, certo.

Attraverserete le montagne in un pulmino scassato, piove di nuovo a dirotto e i laotiani sembrano usciti da Brigadoon.

Infatti, state per arrivare a Brigadoon.

Ne sarete sicuri, verso le 4 di una mattina in cui starete immobili a guardare centinaia di monaci buddisti in tuniche rosse o rosa, arancio o zafferano, che sciamano davanti a voi fuori dalle loro case d'oro, per raccogliere poche manciate di riso dalle mani delle donne e rientrare, in un silenzio più forte di un mantra. Sarete sicuri che siete voi, ad essere entrati in qualche buco del tempo, e che tutto questo accade altrove, e ogni 100 anni.

Vi inginocchierete in un tempio davanti a un monaco quasi bambino, che vi chiederà se in Italia si parla in inglese, e vi dirà di non essere mai stato a Vientiane, perchè è lontana, con uno sguardo che non saprete capire. Gli chiederete di benedirvi, come tutte le donne laotiane davanti al Buddha, e un cenno col capo e un laccio bianco legato con tre nodi al vostro polso testimonieranno a lungo di quella preghiera perchè una delle vostre anime torni a casa.

Avete bruciato incenso e acceso candele sottili a tre a tre, come usa per il rito, in tutte le pagode che avete attraversato, ma qui, nel tempio d'oro deserto in controra, inginocchiati davanti al Buddha d'oro, l'energia della preghiera è così forte che vi attraversa e vi solleva.

Per il tramonto, si va sulla collina che domina la città, come al cinema. I tetti d'oro si incendieranno, l'aria diverrà pulviscolo arancio e oro, e l'acqua, sì, prenderà fuoco in un battito anche il fiume, perchè avrete ritrovato il Mekong, che scorre accanto a Luang Prabang, migliaia di chilometri più a nord di dove l'avevate visto la prima volta. Resterete lì fino a notte, sembra ore dopo.

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