giovedì 5 giugno 2008

Il miele dei giorni

Si vede che in questi giorni penso a miele e violini, perchè mi è tornato in mente che uno dei miei sonetti preferiti è uscito dalla penna di una signora che è vissuta tutta la vita in un posto che si chiama Amherst, Massachusetts, per giunta verso la metà dell'800.

Va bene, nessuno si sognerebbe di metterci piede, ad Amherst, ed è ridicolo, ma visse praticamente in una sorta di autoesclusione dal mondo nella sua cameretta di fanciulla e poi exfanciulla, negli ultimi anni pare quasi sempre vestita di bianco.

Lo sguardo da dagherrotipo ovviamente è piuttosto opaco, per intenderci non era una Virginia, che ne poteva sapere del mondo una così?

Niente Bloomsbury, niente Vita (nel senso di Sackville-West), nemmeno uno straccio di follia conclamata a dare grattacapi a un povero marito (mai avuto uno, infatti), niente parenti scapestrati, niente amici dandy e gay (o tutt'e due le cose) alla Lytton Strachey.

Niente di niente, una noia.

Nessuno come questa donna che forse aveva solo una finestra sulla campagna, come una monaca, come una malata, come una santa, ha scritto sonetti che luccicano sensuosi di miele e ambra, tanto da portare nei nostri cuori la luce di certi pomeriggi d'estate che si desidera non finiscano.

Questo e' il sonetto 511 (secondo la catalogazione Harvard) di Emily Dickinson.

Nei pomeriggi d'estate suddetti, in fondo al campo di granturco inquadrato dalla finestra, oltre le tende leggére, laggiù ad Amherst, di certo una capra strimpella tra i grilli e i bombi.

IF you were coming in the fall,

I ’d brush the summer by

With half a smile and half a spurn,

As housewives do a fly.


If I could see you in a year,

I ’d wind the months in balls,

And put them each in separate drawers,

Until their time befalls.


If only centuries delayed,

I ’d count them on my hand,

Subtracting till my fingers dropped

Into Van Diemen’s land.


If certain, when this life was out,

That yours and mine should be,

I ’d toss it yonder like a rind,

And taste eternity.


But now, all ignorant of the length

Of time’s uncertain wing,

It goads me, like the goblin bee,

That will not state its sting.

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