giovedì 28 maggio 2009

Venezia


Non lo so se muore, di sicuro è appoggiata sul mare.

Io a Venezia ci sono arrivata al tramonto, di una sera calda e umida già di estate, con la brezza dal mare che fa respirare e l'odore salmastro e i gabbiani e il cielo rosso e la laguna d'oro, che è circa il mio modo per farmi gli eventi da me, quelli che contano per me, in mezzo a tutto questo sbattimento.

Ci sono andata in treno, partita da arrivare per sera, e mentre l'Eurostar rallentava con quel gran mare d'acqua a destra e sinistra, e isolotti deserti e ciminiere e arsenali ristrutturati, io rallentavo con lui.
E' la fine di maggio, periodo dell'anno noto per il né troppo fresco né troppo caldo, sono le otto di sera e il cellulare ha smesso, il blackberry deriva.

Un tempo, diciamo quando ancora non sapevo come mi piacessero le uova, avrei preso un taxi d'acqua privato.
E invece.
Di nuovo premeditato, avevo studiato tutte le linee a casa.
Vaporetto linea uno, San Tomà-San Marco-Lido, ferma in tutte le banchine.

Sei euro e cinquanta caricate sulla tesserina magnetica da un veneziano gentile, dite quello che volete ma stasera io così mi sento ricca.
Sto sul ponte, la valigia ai piedi, un pacchetto di shortbread comprato a Santa Lucia.

Le facciate sembrano quinte costruite per commedie alla Feydeau o per Choderlos de Laclos o per donna Elvira che ogni tanto si affacci a dare dello scellerato a don Giovanni.
I portoni sull'acqua sono tutti chiusi, molti abbandonati al muschio. Facciate, ma con la porta sul retro.
Insieme, ci sono quelli che prendono l'aperitivo all'Erberia, l'antico mercato di Rialto proprio accanto al Campo della Pescheria.
Insieme, ci sono i turisti che sono sempre troppo pallidi o paonazzi come i tedeschi, o troppo ilari come i giapponesi.

(Gli anziani americani che espatriano devono aver capito tutto della vita, perchè attraversano la sera il Canal Grande abbracciati in gondola, e se lo porteranno in Texas, o in Winsconsin, nelle loro Sun City da pensionati, per truffare la malinconia, appunto.)

Insieme ancora, un luglio afoso di una casa tra le calli chissàdove e poi di corsa verso una festa in una di quelle palazzine Liberty al Lido dove i veneziani si rifugiano per l'estate, che fu per me l'estate di un dolore.
E poi il vaporetto al buio pesto nella laguna in settembre, e le fiaccole a Torcello, e la cena da Cipriani.
E una pioggia sottile d'ottobre, e la riconoscenza per le tele di Lucian Freud.

Ogni fermata, la calle e il fondaco o la fondamenta del traghetto, questa città non ha le vie.
Tipo che l'indirizzo può essere "San Marco 1364", e girato l'angolo c'è "San Marco 2672", a caso.
Poi ci sono i nomi delle calli, ma provate a inserirli in Google maps, o in viamichelin.
Si arrendono, ecco tutto.
Piazzano una bandierina dalle parti del Ghetto, e amen.
Penso che mi perderò di sicuro, e a come fanno quando gli devono consegnare col DHL i pacchetti dello shopping online.

San Marcuola, San Stae, San Moisé, San Tomà, San Polo. Anche i santi non sono quelli soliti, i nostri.
Sono i loro, di una terra speciale di confine.
Ogni campo, una chiesa barocca gonfia di un odore acre di chiuso e di muffa che non se ne va nemmeno aprendo i portoni al Dimensione caratterevento di mare, ristagna tra le colonne e sotto le volte.

Muore, Venezia?
Non si direbbe: in Biennale fervono i lavori per rientrare nella sede storica di Vallaresso accanto a piazza San Marco, e la prossima settimana si inaugura la nuova Biennale Arte.
Francois Pinault, ormai leggendario collezionista e mecenate nella sua maison veneziana, Palazzo Grassi, inaugura il 6 giugno il nuovo museo di Punta della Dogana.
A settembre, Mostra del Cinema e lavori in corso per il nuovo palazzo al Lido, da terminare per il 2011.

Non lo so se muore, ma appena fuori dai tour turistici è buia e deserta.
Attraverso due canali, seguendo a naso la direzione, costeggio l'acqua, non mi perdo.
Il mio albergo dai pavimenti di legno e i soffitti a travi scure sta qui, o ad Anversa, o a Rotterdam, o a Nyhavn, da almeno cinquecento anni.
Nel giardino minuscolo, dipinge l'ombra di Vermeer, e il cameriere nero gli parla solo in inglese.

Così, miei piccoli lettori, la capra ed io ce la siamo discretamente passata, negli ultimi giorni.
Quelli della Biennale sono un sacco upper, ma gentili.
(Lei è bellissima e dolce, sono sicura di averla già vista in un ritratto di Boldini, o di Sargent, o assomiglia a Katharine Hepburn da giovane.)

Siamo tornate a casa, in tempo per una notte di nuvole.
Il Barça, a Roma, si prende la notte in cui le sue stelle si sono allineate.

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