lunedì 6 ottobre 2008

David F. Karamazov

David Foster Wallace era quello che si definisce un cult. Per la precisione - uno scrittore cult.
Si è impiccato il 12 settembre a Claremont, in California, e così finisce nel nostro elenco di quelli che (non lo dicono ma) lo fanno, in buona compagnia con Virginia (Woolf) e Sylvia (Plath) di cui abbiamo già parlato qui. Ha scritto un librone di 1000 e poldo pagine che si intitola Infinite Jest, una tentazione, lo giuro. Appena ricompare, lo compro - l'edizione Einaudi è andata esaurita per l'effetto cadavere, lo capite da soli.
C'è il declino dell'impero americano ormai già declinato e morto, e una lingua che - dicono - sta tra Ulysse e la qualsiasi cosa, poi metteteci Zola (per il realismo, ovvio), e Delillo, e qualunque cosa sia uscita dagli US da 50 anni a questa parte e il Time e il NYT che gridano al miracolo, e qualche illustre lettore che fa il vedovo. Addio, David. Non ti dimenticheremo, no no.
Quindi, con una rapida spannometrica analisi e una altrettanto felina spannometrica sintesi, rispolverando il mai morto progetto Riempi il Tuo Buco Nero, di cui vi ho puranco già parlato qui, soppesando le 1000 smilze paginette - sentite, io ho iniziato i Karamazov.
Adieu, miei piccoli lettori, la capra intona la candenza indiavolata di Joseph Joachim nei cieli di Santa Madre Russia (Brahms, concerto per violino, opera 77, non sapete mai niente però eh).
Ne verrò fuori verso Natale, credo, se prendo spesso l'influenza e sto a casa tutte le vacanze.

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